2001: Odissea nello spazio

Titolo originale:  2001: A Space Odyssey

Nazione:  Gran Bretagna/Usa

Anno:  1968

Genere:  Fantascienza

Durata:  145′

Regia:  Stanley Kubrick 

Cast:  Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Douglas Rain.

Produzione:  Stanley Kubrick

2001: Odissea nello Spazio

2001: Odissea nello spazio (1968) è l’opera più immaginifica di Kubrick. Un corridoio luminoso infinito è la prima visione/allucinazione di Bowman, ed è anche l’elemento architettonico narrativo e simbolico di tutto il film: è il corridoio “curvo”, ripiegato su se stesso, così com’è l’universo secondo Einstein. La linea curva è la cifra simbolica di tutto il linguaggio del film: sono curve le architetture “galleggianti” (le astronavi); la stazione orbitante su cui giunge il dottor Heywood Floyd, che ricorda la Ruota del Prater di Vienna. A forma di testa è l’astronave che porta Floyd sulla base lunare Clavius, organizzata secondo cerchi concentrici; sferica é la plancia del Discovery e sferiche sono ancora le capsule usate dagli astronauti Bowman e Poole nella terza parte del film; sferico è infine l’inquietante occhio del calcolatore HAL-9000, l’unico “essere” in grado di cogliere lo spazio curvo dell’astronave nella sua totalità.

Ma l’occhio che, in un primo momento, vede l’oggetto da “trasformare” nell’uso, l’occhio che conosce il delirio di onnipotenza di HAL, finisce col percepire solo colori e suoni, l’essenza più profonda del reale. In questo è racchiusa tutta la storia della creatività dell’uomo: dall’oggetto – osso come arma e quindi prodotto dell’artigianato, all’occhio accentratore del Rinascimento, alla perdita prospettica del post – impressionismo, all’astrattismo pittorico e all’arte concettuale. Vi è tutta la perdita del Soggetto agente, si passa dal neoplatonismo, al misticismo, dal positivismo all’ermeneutica moderna. Altrettanto simbolica è l’adozione di strutture svettanti verso l’alto, come la stele della scena iniziale e numerosi elementi architettonici d’interni ed esterni che appartengono sia all’albergo che all’astronave: essa sta per l’insopprimibile spinta dell’uomo verso il fuori da sé e l’assoluto. Accanto alla forma si colloca come protagonista il colore: tutti gli spazi sono ossessivamente di colore bianco (sempre luminoso) e rosso (spesso cupo e misterioso).

Bianche sono all’esterno tutte le astronavi e bianchissimi sono i pannelli di rivestimento interni solcati, negli interstizi, da nervature che denunciano il profilo delle pareti; completamente bianca e luminosa è infine la scatola spaziale settecentesca in cui si ritrova Bowman. Rosso è invece il colore delle poltrone, sparse in una sorta di grande hall d’albergo, all’interno della base orbitante. Inondati di luce rossa sono le cabine di pilotaggio delle astronavi e l’interno della capsula di Bowman; rosso è, infine, l’occhio di HAL e lo spazio in cui risiede la sua memoria. Il bianco separa con decisione il profilo esterno delle astronavi dal buio infinito dell’universo, contemporaneamente acceca e annulla le profondità all’interno. Il rosso è invece il colore di tutti gli oggetti e ambienti che hanno un rapporto più intimo con l’uomo e i suoi istinti: la tuta spaziale di Bowman, le poltrone su cui si siedono il dottor Floyd e i colleghi russi, le cabine di pilotaggio e “l’umano” cervello di HAL. Terzo colore è il nero, come la stele e, sopra tutto, come lo spazio dell’universo che rende possibile l’esistenza delle forme e il moto e la relazione tra gli oggetti.

Queste forme e questi colori sono quelli prediletti, in particolare, da due grandissimi architetti e designers: Mies van der Rohe e Le Corbusier, dietro ai quali, nume tutelare, si erge, ineludibile, Gropius. Qui sotto ho riprodotto una serie di opere di van der Rohe e Le Corbusier, poiché Gropius è stato al centro della nostra attenzione in altri films: e all’iconografia allegata ad altre schede, rimando per ulteriori confronti. La scelta è funzionale sia al confronto della forma, che dei colori bianco, rosso e nero che, da allora, hanno dominato l’arredamento d’autore.

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