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L’espressionismo in Blade Runner

§1. L’Espressionismo
L’Espressionismo fu corrente culturale d’avanguardia che, sorta in Germania all’inizio del Novecento come reazione all’impressionismo e al naturalismo, e affermatasi in origine nel campo delle arti figurative,
si estese poi alla letteratura, alla musica e al cinema, proponendo una rivoluzione del linguaggio che contrapponeva all’oggettività dell’impressione la soggettività dell’espressione. Suo organo ufficiale fu la rivista Der Sturm, fondata e diretta da Herwarth Walden, pubblicata dal 1910 al 1932. Il termine, introdotto tra gli studiosi d’arte antica da G. Rodenwaldt nel 1921, fu adottato per indicare una corrente dell’arte romana manifestatasi prevalentemente tra il 235 e il 260 d.C. circa, ma destinata a permanere anche in seguito come elemento costitutivo del fenomeno noto con il nome di tardo antico, e caratterizzata nella scultura dalla ricerca
di violenti chiaroscuri e da autentiche deformazioni, come documentano ritratti e rilievi su sarcofagi dell’epoca (Roma, palazzo Mattei). L’Espressionismo diede origine a diverse correnti: alcune di ispirazione mistico-cosmica, altre politico-sociali, ma tutte unite da un radicalismo umanitario e anarcoide. Gli espressionisti si ribellavano soprattutto al materialismo e all’ottimismo della borghesia capitalistica e liberale, propugnando il ritorno all’uomo primigenio (Urmensch) e l’avvento di una umanità libera e più consapevole delle proprie possibilità. A differenza di altre avanguardie, l’espressionismo si caratterizza per una visione cupa, essenzialmente pessimistica del mondo. È definito come poetica della vita tramontata, violentata, della disperazione, della morte e dell’assurdo che ne hanno preso il posto; ma anche poetica della tensione verso la rigenerazione che trasfiguri il mondo sconvolto dalla guerra.
Le premesse ideologiche del movimento, che si proponeva di giungere alla comunicazione immediata dei sentimenti attraverso un linguaggio violento, esasperato e polemico basato sulla deformazione appariscente degli aspetti della realtà, furono chiarite da Kirchner nel manifesto del Ponte (Die Brücke): questa espressività deformante, assai originale e violenta, era l’equivalente formale dell’urlo. Riconoscibile fu l’influsso del futurismo, soprattutto come radicale rifiuto della retorica e del linguaggio poetico ed espressivo della tradizione e di una radicale e violenta rivoluzione stilistica. Ma il generico ribellismo che non riuscì a prendere forma in un chiaro indirizzo ideologico, così che intorno al 1920 si ha lo spezzettamento del movimento in due componenti sempre più antitetiche. Il movimento fu all’inizio un movimento pittorico e artistico: il primo gruppo di pittori espressionisti, «Il ponte» (Die Brücke), si richiamava alle esperienze di Van Gogh, Munch, Ensor; vi parteciparono Kirchner, Nolde, Pechstein; esso fu di natura eminentemente psicologica, e rimase fenomeno tedesco. A essi fece seguito l’espressionismo astratto del gruppo di Monaco «Il cavaliere azzurro» (Der Blaue Reiter) fondato da Marc e Kandinsky nel 1911, cui aderirono Kubin, Kokoschka e Grosz, la cui diffusione fu, invece, internazionale; il nome venne trovato da Marc e Kandinsky, secondo la testimonianza di quest’ultimo, mentre sedevano a un tavolino nel caffè-giardino di Sindelsdorf: “Entrambi amavamo l’azzurro, Marc i cavalli, io i cavalieri. Così il nome venne da sé”. fu fenomeno di vasta portata, nel quale il linguaggio del colore si fece sempre più libero e intenso. Sotto l’impulso di Kandinsky i protagonisti del Cavaliere azzurro si volsero verso nuovi modi espressivi, verso la creazione di spazi immaginari, verso l’astrazione lirica e fantastica della realtà.

§ 2. Il cinema espressionista

La prima fase del cinema espressionista cominciò nel 1919 con il film di Robert Wiese Il Gabinetto del dottor Caligari; si espresse poi, in particolare, nella filmografia di Fritz Lang (Il Dottor Mabuse, I Nibelunghi, M il Mostro di Dusseldorf, Destino, Metropolis) e di Wilhelm Murnau (Nosferatu, il Vampiro). In seguito, uscito dai confini della Germania, il cinema espressionista fu variamente interpretato anche da artisti di altri paesi.

Elementi fondamentali del cinema espressionista e del suo linguaggio sono:

  1. l’intenzione di deformare criticamente la realtà in senso anti-naturalistico, per sottolineare la difficoltà di comprensione lucida e razionale della stessa;
  2. la manipolazione impressa a tutta la materia visiva, i richiami iconografici alla pittura, le didascalie, soprattutto la deformazioni degli oggetti e delle immagini;
  3. l’efficacia emotiva delle inquadrature;
  4. la gestualità enfatica e insieme stilizzata;
  5. le riprese degli attori talora sostituite da quelle inquietanti delle loro ombre;
  6. gli ambienti allucinati con scenografie contorte e bizzarre;
  7. le scene, i costumi, i visi degli attori che subiscono sempre e comunque un trattamento chiaroscurale, per luci e ombre.

I temi dominanti del cinema espressionista sono destinati a lasciare un’impronta sulla cinematografia successiva, come il tema del doppio (personaggio e immagine, ombre e specchio) e il tema della personalità abnorme, ipertrofica, sovente tirannica. Non di rado il cinema espressionista mette in scena inquietudini e turbamenti storici ed esistenziali, anche di matrice sessuale come M il Mostro di Dusserldorf di Fritz Lang, o L’Angelo Azzurro di Von Stenberg. Altra vena è quella epico-religiosa, che spesso rimanda a leggende e racconti di magia, come I Nibelunghi di Lang.

Il cinema espressionista, anche se vive in uno spazio e in un tempo ristretto e determinabile, in Germania dal 1919 al 1926, attraversa stilisticamente in modo variegato e multiforme la cinematografia successiva. Di essa, fra i più grandi autori si possono ricordare in particolare Theodor Dreyer (autore scandinavo di La Passione di Giovanna d’Arco, Vampyr, Dies Irae e Ordet), Ingmar Bergman, Orson Welles, Pier Paolo Pasolini, Stanley Kubrick.

A partire dalla seconda metà degli anni ‘20, la produzione tedesca di film muti, subisce il comune processo di “americanizzazione”: i registi sentono la necessità di emigrare all’estero, attirati dalla crescente fama di Hollywood. A dare un secondo forte impulso a questa “migrazione” è l’avvento del regime nazista, instaurato nel 1933.

§ 3. Blade runner: la rottura col passato.

Per molti critici, Blade Runner disputò a E.T. la palma di miglior film del 1982. Il film di Ridley Scott fu salutato come un passo importante nella storia del cinema di fantascienza. L’aspetto di rottura con la tradizione precedente non è da individuare nella tecnica degli ammazzamenti a volontà: la novità è nella prospettiva visuale del film, da cui, con coerenza senza precedenti e una continuità coerente, la società futura è dipinta come un luogo (milieu) invece che come il negligente supporto per una storia convenzionale condita con gadgets tecnologici. in verità. La Los Angeles del 2019 (l’anno in cui si svolge Blade Runner ) è scarsamente futurista; e la società che produce robot genetici (replicanti) e killer (i blade runner) col compito di eliminarli se violano la legge (oppure se devono essere “ritirati” per difetti) è ancora vicina alla nostra.

Siamo solo all’alba di una fantascienza sociologica di qualità, che mostri molto più di quanto spieghi, prendendo a prestito i suoi stilemi dal profluvio di immagini dei comics. Sino a poco tempo fa, un film di fantascienza era un connubio spesso frettoloso e deludente tra una storia banale (un western o un thriller), una metafisica sciocca, un po’ di gadgets di cartapesta e design aggressivamente futuristico. E’ vero che alcuni registi (lo stesso Scott in Alien, 1978 e George Lucas in Star wars, 1977) riuscirono a dedicarsi alla verosimiglianza tecnologica, ma infantile rimane il messaggio dei loro films. La storia di Blade Runner è altrettanto convenzionale, e la sua metafisica vale poco, ma che inventiva nelle immagini! Come l’inesauribile “caméro stylo” di Zyga Vertov, mostrandoci dal vivo il XXI secolo, Blade Runner ci porta vicino all’architettura, pedina la gente e le cose, si insinua fra la folla, penetra nelle case: tutto perché gli operatori (il coautore di Blade Runner è Douglas Trumbell, famoso per i suoi effetti speciali in 2001 ) hanno scelto di sottomettere queste cose, fin nei loro più minuti dettagli, allo sguardo dell’osservatore, assieme a veicoli a decollo verticale e altri oggetti con lucette luminose, e spesso rumorosi, che di tanto in tanto capitano sotto il naso nel corso delle avventure dell’eroe.

Questo fiume rutilante di immagini ci trasporta con il suo fascino irresistibile: lo stesso fascino, ma musicale stavolta, che prende i fan di un verdi o di un Wagner. E la musica di Blade Runner consiste di una polifonia visuale, un’immagine continua della società.

Cosa ci mostrano le immagini? Bellissimi gadget meccanico-genetici video-elettronici, per essere sicuri, ma non troppi, e nessuno particolarmente esotico. Anche se ancora ci sfugge, il futuro prossimo conserva un’aria familiare. Noi possiamo farlo , anche se non sappiamo ancora come farlo. Svelando la familiarità di ciò che è ancora incognito, Blade Runner ci mette nella situazione del bambino, il poeta-filosofo di Heidegger, o, in termini sociologici, le élite alienate del terzo mondo. La nuova importanza data al décor è tale che noi vediamo l’ambiente dei simboli modernisti più dei simboli stessi; e questo, in effetti è il modo in cui ci appare il progresso giorno per giorno. Ecco perché l’impatto visuale di Blade Runner va molto al di là di quelli di Alien o Star Wars, che fanno certamente uso della tecnica dell’immaginazione (imagery) ininterrotta, ma senza metterla al servizio della descrizione di una società. La prima (e a questo riguardo anche la migliore) parte del film di Scott si basa sullo sfacciato esibizionismo di questa sociology-fiction : un’anticipazione di questa maniera si può trovare nel design elitario di 2001 , o nella famosa scena del

L’espressionismo in Blade Runner
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§ 4. Blade runner: una rivoluzione visuale

Il modello riconosciuto per la Los Angeles del 2019 è Hong Kong, dove modernizzazione pullulante e modernismo (espansione economica, ordine municipale moderno, e architettura verticale) vanno di pari passo con la proliferazione delle strutture economiche tradizionali, modelli di comportamento sociali e psicologici tradizionali, organizzazioni spaziali arcaiche. In strade strette e affollate, una bassa, orizzontale giungla di negozi prospera proprio ai piedi dei grattacieli. Il disordine circonda l’ordine e lo riempie di sé. Analogamente, la scena urbana che ci mostra Scott è già visibile nella megalopoli americana, una città-stato in cui la società, le culture, e i linguaggi riconoscono presentemente la logica e l’estetica dell’accumulazione, del “dumping ground” (2). Lo “zoo umano” che, nel film, suda ai piedi dei grattacieli, in un disordine completamente medioevale ricorda nella realtà i quartieri centrali di New York o Los Angeles, dove l’élite si rifugia nella geometria dei suoi uffici e appartamenti di lusso, col suo comfort, calma e pulizia.

Se si può parlare di una rivoluzione visuale in Blade Runner, essa consiste nello stabilire un campo unificato di visione che include la società, grazie a un mutamento di prospettiva che supera e sviluppa gli abbozzati scenari sociali dei film di fantascienza convenzionali. Con questa nuova visione e questo nuovo soggetto, la rappresentazione semplificata del potere lascia posto a un più omnicomprensivo mostrare la società. Una tale rivoluzione ricorda quella che integrò lo spazio nel Rinascimento. Il mutamento di prospettiva che portò gli artisti a rappresentare la Natura e l’Uomo —il visibile e l’umano— invece dell’invisibile e del divino (un mutamento che permise loro di rappresentare il divino e l’invisibile come cose naturali ) andò di pari passo con la nascita di uno spazio omogeneo (opposto allo spazio frammentato dei Bizantini e dei Medioevali). Pittori come Masaccio, Piero e Mantegna, scultori come Ghiberti e Donatello, architetti come Brunelleschi e Alberti, lottarono per ricomprendere sfondo e primo piano in una singola unità di rappresentazione modellata sulla scena teatrale. Pittura, scultura e architettura diventarono un tutto integrato con ciò che era vicino, e senza soluzione di continuità con lo spazio universale, che giunse a comprendere i cieli(6). La ritrattistica obbedì agli stessi principi. Prima attaccati a uno scenario piatto e incongruo, i ritratti si integrarono coi loro sfondi quando i pittori aprirono strette “finestre”, o vedute , sul paesaggio, per significare la continuità senza fine dello spazio al di là del soggetto e della attenzione loro e dell’osservatore. Queste vedute in seguito si espansero in grandi paesaggi, talvolta a spese del ritratto o soggetto originario che, come le viste leonardesche di montagne e ghiacciai, i boschi dorati di Tiziano, e le ombre di Tintoretto e Caravaggio, non sono solo cartelli indicatori poetici che guidano l’occhio al di là del visibile, ma la prova tangibile dell’unità e della continuità dello spazio.

L’analogia con la rappresentazione classica, comunque, è ingannevole. L’integrazione classica della continuità era altamente selettiva e gerarchica, mentre la rappresentazione della società in Blade Runner è cumulativa e basata sulla parità delle parti e del tutto. In realtà, è il modo classico di rappresentare per selezione, semplificazione, e riduzione all’unità (una simbolizzazione strutturale che può essere chiamata rappresentazione dell’ordine verticale, o dell’ordine massimo), quello della scienza classica, dell’Utopia nonché della fantascienza tradizionale, che viene superato dall’esibizione del sociale di Blade Runner. Il mutamento di prospettiva — mostrare la società invece della rappresentazione del potere — porta a un’enumerazione di numerose cose (segni di grado basso) invece della convenzionale esibizione di pochi simboli privilegiati (segni di grado alto). Questo tipo di esibizione in Blade Runner non è, naturalmente, il primo esempio di quel che può essere chiamata rappresentazione del minimo ordine ovvero orizzontale. Si può dire che essa compare ogni volta che l’enfasi è posta sul lato “oggettivo” della realtà (la mimesi di Platone). Secondo la teoria del “cinéma-verité” di André Bazin, i registi di film realistici limitavano la loro volontà creativa affinché una democrazia delle cose, fedele alle cose reali, potesse sostituire l’aristocrazia dei simboli caratteristica dell’arte non-realistica.

Anche dei simboli ci danno delle informazioni addizionali su quel che ci è mostrato. Piove, fa freddo a Los Angeles; perfino là il sole non splende più. La città è sovrappopolata. Quali siano le conseguenze generali di tutto questo, e come esse pesino sulla struttura economica del 2019, lo possiamo intuire dal fatto che un serpente artificiale, costruito con l’ingegneria genetica, costa meno di un serpente vero. Gli esseri umani, all’infuori del loro inalienabile diritto all’esistenza (ecco perché Scott li li affolla sullo schermo), hanno evidentemente ristretto lo spazio vitale a disposizione delle altre forme di vita al punto di praticamente eliminare i serpenti dalla Terra. Questa contrapposizione di dettagli simbolici ci lascia vedere, in prospettiva, le infinite ramificazioni, le branche molteplici, e la complessità totale di una società completa attraverso il segmento mostratoci (soprattutto i cani bastonati, i dominati). Blade Runner, in altre parole, raggiunge un sapiente equilibrio fra il detto e il non detto, il visto e il suo contesto. Con solo una importante riserva: la dimensione politica è completamente ignorata. Questo non vuol dire rimproverare Blade Runner per non aver dato una risposta giuridica sul problema essenzialmente politico della distruzione dei “semi-viventi”. Possiamo però criticare questo film voyeuristico, che mostra tutto, per non averci mostrato nulla della politica, neanche brevemente, mentre ci ha mostrato l’economia, la demografia e l’ecologia della società.

§ 5. Blade runner e l’architettura espressionista

Architettura e Cinema, molto spesso vengono associati, soprattutto per la grande capacità del cinema di raccontare i fatti urbani, la città e i modi di abitarla. Gli architetti hanno “usato” il cinema per raccontare e diffondere le loro idee, si pensi al cinema futurista, a quello espressionista tedesco dove le città fatte di architetture modernissime sono al centro della scena e diventano parti integranti fondamentali della narrazione cinematografica.

Il cinema svolge un ruolo importante nella lettura delle città, strumento utile a comprendere le dinamiche sociali che condizionano il vivere quotidiano e l’espansione delle città contemporanee. L’apporto del cinema e delle immagini in movimento viene utilizzato soprattutto nel concepire gli edifici pubblici su cui si riversano i grandi flussi: stazioni ferroviarie, aeroporti, centri commerciali, musei La luce e il colore sono gli elementi che vengono utilizzati da entrambe le discipline risultando fondamentali per comunicare un’idea, un messaggio di quali siano le intenzioni del regista e dell’architetto. Molti sono i film che hanno influenzato l’architettura, in alcuni casi il cinema ha superato la teoria architettonica.

Sono state immaginate città future, molto prima che venissero realizzate, sono state create condizioni di vita virtuali dove gli uomini vivono in città ipertecnologiche, come in Blade Runner, dove gli edifici-schermo proiettano nello spazio suoni e immagini: siamo nel 1982, lontani dal progresso tecnologico odierno che ci consente di attuare con maggiore facilità queste soluzioni progettuali. Blade Runner è stato il capofila di un genere che aveva, nella rappresentazione delle città hi-tech, la sua forza narrativa: 1997.Fuga da New York, Dredd.La legge sono io, Matrix, hanno raccontato scenari possibili, sono stati anticipatori verso l’uso di nuove tecnologie e verso nuove idee di città. Ma Blade Runner è stato il film che meglio di altri ha saputo raccogliere le nuove tendenze della scienza, della tecnologia e della stessa architettura, immaginando una città artificiale abitata da replicanti, uomini-macchina nella Los Angeles del XXI secolo che si muovono nello spazio fisico a bordo di macchine volanti, dove la vita si svolge sempre con luci artificiali in una dimensione non umana, a-temporale. L’architettura cui Blade Runner fa riferimento è, in primo luogo, quella espressionista, sull’esempio dell’ineludibile Metropolis. L’architettura espressionista si allontanò dal razionale e dal puro dato funzionale, privilegiando la sfera emotiva e irrazionale; loro obiettivo fu quello di comunicare la sensazione di un andamento plastico libero, astratto e monumentale. Il loro linguaggio si fondava su elementi simbolici sviluppando forme biomorfiche e geomorfiche.

Dominante è, dunque, la componente fantastica che trova il suo più significativo interprete in Antoni Gaudì y Cornet (1852-1926), da considerare, nelle sue ultime opere, il massimo esponente dell’Espressionismo. Accanto ai lavori del Vignola a Caprarola e al Bosco Sacro di Bomarzo, è da collocare come riferimento primario, per Gaudì e l’architettura espressionista, Giovan Battista Piranesi (1720-1778), sì che è possibile istituire una sorta di percorso continuo tra Piranesi e le scenografie di Blade Runner, come sembra attestare, per alcuni aspetti, il paesaggio popolato di pinnacoli che si innalzano verso il cielo a testimoniare un segnale di vita (le piante e le fiamme nella parte alta).

I paesaggi che popolano le incisioni di Piranesi, nella loro commistione di classicità e invenzione fantastica hanno influenzato l’Espressionismo sia da un punto di vista ideologico, che da un punto di vista più squisitamente visivo. Tra gli elementi più vistosi gli edifici costruiti su memoria delle piramidi, che architetti come Gaudì trasformarono in fantastiche costruzioni svettanti verso il cielo ma sulle cui superfici, a differenza del modello, l’architetto spagnolo apponeva decorazioni, incisioni e suggestivi disegni, come nella Biblioteca dell’Università di Città del Messico. Altro elemento degno di nota è la percezione dello spazio visto attraverso un arco, come fosse un pertugio aperto su un altro mondo: l’arco che ha la forma rotonda dell’occhio e la profondità del cunicolo che, in qualche caso, difende dal male esterno e, in altri casi, sembra portare direttamente all’inferno.

La presenza delle incisioni di Piranesi sembra essere presente anche negli elementi decorativi degli interni di Blade Runner: si tratta di decorazioni derivate dagli edifici classici (egiziani, greci, romani, rinascimentali), che vennero spesso utilizzate nell’architettura espressionista, in risposta alla scelta programmatica di mescolare elementi decorativi del mondo classico con invenzioni futuriste.

Oltre a Gaudì, sono visibili i segni lasciati dagli edifici di Bruno Taut e Walter Gropius, ma, al di là di memorie precise e dettagli riconoscibili, è l’ideologia su cui si fonda l’Espressionismo, a guidare le scelte delle scenografie di Blade Runner ; una ideologia che, nei suoi punti essenziali può essere così riassunta.

  1. visione cupa e pessimistica degli spazi popolati della città;
  2. paesaggi con ampi spazi deserti in cui si alzano magici edifici costruiti come templi;
  3. utilizzo di elementi appartenenti al mondo classico (sopra tutto sarcofagi) rispondendo alla categoria del “tardo antico”;
  4. ambienti esterni ed interni caratterizzati da violenti chiaroscuri;
  5. inserzione di elementi deformanti e grotteschi destinati a commentare (e qualche volta a fare da controcanto) le azioni dei personaggi.

§ 6. Blade runner e la pittura espressionista

Gli espressionisti svilupparono forme pittoriche che esprimessero i loro mondo interiore piuttosto che rappresentare il mondo esterno. La pittura espressionista è intensa, piena di passione, rigorosamente soggettiva, e si basa sul concetto della tela come veicolo di emozioni. Colori violenti e irreali e pennellate aggressive sono elementi primari di questa pittura, vibrante di vitalità: non sorprende che Vincent Van Gogh con la sua frenetica tecnica pittorica e lo straordinario uso del colore sia stato d’ispirazione per molti pittori espressionisti.

Il termine espressionismo è sinonimo di deformazione, infatti l’artista cerca mediante l’alterazione della forma, del colore e dello spazio, di rivoluzionare la realtà per giungere a quella che lui suppone sia la verità. L’espressionismo rifiuta il concetto di una pittura tesa al piacere sensuale (del del senso della vista, per esempio) ma sposta la visione dall’occhio all’interno dell’animo umano. L’occhio infatti, secondo il pittore espressionista, è solo un mezzo per giungere all’interno, dove la visione interagisce con la nostra sensibilità psicologica. (VEDI l’occhio).

L’occhio dell’impressionista sente soltanto, non parla; accoglie la domanda, non risponde. Non ha bocca; è incapace di parlare del mondo, di esprimere la legge del mondo. Ed ecco l’espressionista riaprire all’uomo la bocca: fin troppo ha ascoltato tacendo, l’uomo: ora vuole che lo spirito risponda.
(Hermann Bahr, 1906)

E quando l’occhio osserva dentro di sé, o dentro gli altri, trova sempre toni foschi e cupi. All’interno dell’animo dell’artista trova sempre l’angoscia, come dentro gli altri trova la bruttura mascherata dall’ipocrisia borghese. E per rappresentare tutto ciò, l’artista espressionista non esita a ricorre ad immagini sgradevoli. Anzi, mai come con l’espressionismo il «brutto» diviene arte, cosa mai prima avvenuta con tanta enfasi nella storia. Alla nascita dell’espressionismo contribuirono diversi artisti della fine del 1800 come Munch ed Ensor, ma anche Van Gogh e Gauguin. Dal primo l’espressionismo prende il segno profondo e gestuale, dal secondo il colore come simbolo interiore. La pittura espressionistica risulta quindi totalmente antinaturalistica, lì dove l’aderenza alla realtà dell’impressionismo collocava quest’ultimo movimento ancora nei limiti di un naturalismo seppure inteso solo come percezione della realtà.

La matrice ideologica di fondo dell’espressionismo rimane sempre profondamente drammatica. Quando l’artista espressionista vuol guardare dentro di sé trova l’angoscia, dentro gli altri trova la bruttura mascherata dall’ipocrisia borghese. E per rappresentare tutto ciò, l’artista espressionista non esita a ricorre ad immagini «brutte» e sgradevoli. Anzi, con l’espressionismo il «brutto» diviene una vera e propria categoria estetica, cosa mai prima avvenuta con tanta enfasi nella storia dell’arte occidentale. (VEDI Il volto deformato).

L’influenza della pittura espressionista in Blade Runner è articolata e complessa: e non sempre i rimandi sono di natura visiva. Le categorie in cui tali elementi possono essere inseriti sono, in realtà almeno tre:

1. derivazione dell’immagine nella sua pura forma esterna

2. derivazione dell’immagine e del suo significato simbolico

3. derivazione dell’alchimìa complessiva degli elementi

4. derivazione di temi e ipostasi in forme originali

1.derivazione dell’immagine nella sua pura forma esterna

Sono esempio di questa derivazione i volti dei personaggi, come nel caso dell’autoritratto di Munch e del volto di Roy, interpretato dall’attore Rutger Hauer: entrambi allungati, dai capelli chiari, assolutamente “ariani”, malinconici, cupi. A lato dei puri tratti somatici è da collocare la posizione del corpo e la gestualità, come nel caso del ritratto di Sylvia von Harden di Otto Dix e l’immagine di Racheel, interpretata da Sean Young, entrambe riprese in algido distacco e avvolte nel fumo della sigaretta. O, ancora, la bionda giovane chioma spettinata della Donna seduta con gambe tirate su di Schiele che torna nell’immagine, ugualmente fragile di Pris, interpretata da Darryl Hannah.

2. derivazione dell’immagine e del suo significato simbolico

Al volto normale è da affiancare il volto deformato, dove il soma è segnale di corruzione, di sofferenza, di alterazione di equilibri rasserenanti, come nel caso del volto di Francio Bacon e del personaggio (?) del film.

3. derivazione dell’alchimìa complessiva degli elementi

E’ il caso di dipinti come Sera su Karl Joahn di Egon Schiele e del gruppo di uomini in cilindro del film, dove si replica il taglio dell’inquadratura in piano americano, il gruppo di figure umane e il loro abbigliamento. A questa categoria appartengono anche gli scenari e i disegni dello Storyboard fitto di macchine, paesaggi meccanicizzati e figure di varia natura in movimento: alchimie derivate da quelle gallerie di immagini espressioniste più strettamente legate al futurismo.

4. derivazione di temi e ipostasi in forme originali

A questa categoria appartengono l’inserimento di elementi come l’occhio, punto nevralgico di partenza di ogni indagine espressionista: l’occhio dell’anima, l’occhio della mente, l’occhio del cuore che indagano per giungere all’eidos delle cose. Questo occhio prende forma nella Voight Kampff Machine (VEDI), cui niente sfugge: strumento ossessivo di conoscenza e, dunque, di potere. E che l’occhio sia elemento primario della narrazione di Blade Runner lo attestano anche manifesti (VEDI) dominati dall’occhio onnipresente della macchina. Memoria, quest’ultima, contaminata anche dalla memoria di Gorge Orwell e di 1984: un autore e un romanzo che, dall’espressionismo, trasse fonte d’ispirazione tematica e visiva.

L’OCCHIO

Voight Kampff Machine:
Questa incredibile macchina consente di identificare i replicanti attraverso l’analisi dell’iride. Il suo braccio meccanico si apre e centra automaticamente la pupilla della persona sottoposta al test. Analizzando le contrazioni e le dilatazioni dell’iride può rivelare se la persona mente.

IL VOLTO DEFORMATO

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